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SAN MARCO IN LAMIS -Ingegnere del comune di San Marco in Lamis – «La mia odissea giudiziaria»

Pubblicato: giovedì, 27 dicembre 2012 Commenta questo articolo Nessun commentoTorna alla pagina iniziale

«Si dice che la Giustizia alla fine trionfa, sarà una frase fatta anche se nel mio caso è andata proprio così.

Eppure a distanza di sei anni e mezzo dall’arresto e nonostante l’assoluzione definitiva dall’accusa infamante di concorso esterno in associazione mafiosa sul presupposto, rivelatosi errato, che avessi favorito persone che nemmeno conoscevo per alcuni lavori di sbancamento, io mi sento addosso ancora un peso psicologico, è come se mi vergognassi.

Chiaramente non ho mai dubitato di me stesso e della mia innocenza, sono stato assolto, non ho nulla di cui vergognarmi perchè sono vittima di un errore giudiziario per il quale chiederò il risarcimento dei danni per l’ingiusta detenzione sofferta.

Però, malgrado tutto ciò, quella diffidenza dall’esterno conseguenza dell’arresto l’avverto ancora su di me, come un’ombra che non mi lascia».

Lo racconta al cronista Pasquale Pitullo , 65 anni di San Marco in Lamis, ex ingegnere capo del Comune di San Marco in Lamis («mi dimisi subito dopo l’arresto, ora faccio l’imprenditore») arrestato il 14 giugno del 2006 con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e abuso in atti d’ufficio, nell’ambito di una delle indagini «costola » della più ampia inchiesta sulla mafia garganica

. Pitullo è stato assolto dalle accuse più gravi in primo e secondo grado, con prescrizione per l’accusa di abuso d’ufficio per la quale ha presentato ricorso in Cassazione.

In particolare la vicenda che portò i finanzieri del «Gico» di Bari ad arrestare l’ingegnere e due compaesani su ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip di Bari e chieste dalla Direzione distrettuale antimafia, era una costola dell’indagine denominata «free valley» (23 arresti nel giugno 2004) sulla presunta contrapposizione tra due famiglie di San Marco in Lamis e Rignano Garganico che si contendevano il controllo del territorio, col processo conclusosi con l’esclusione della mafiosità dei presunti clan in lotta.

«Era la mattina del 14 giugno di 6 anni fa» racconta l’ingegnere Pitullo «quando fui arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito di un’inchiesta basata anche su denunce anonime di personaggi vili.
Mi sentii male, venni colpito da un attacco ischemico cerebrale e portato all’ospedale di San Giovanni Rotondo: dopo tre giorni fui trasferito in una cella di sicurezza degli ospedali riuniti di Foggia dove rimasi sin quando, il 6 luglio 2006, il Tribunale della libertà annullò il provvedimento di cattura e tornai libero.
Scelsi il giudizio abbreviato, il che significa che mi feci giudicare sulle carte dell’accusa, e il 10 marzo 2010 il gup di Bari mi assolse dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e condannò a 6 mesi per abuso: il pm chiedeva 8 anni per tutti i reati.

Ci fu l’appello sia mio sia della Dda contro la sentenza, in secondo grado a Bari l’11 giugno scorso fu lo stesso sostituto procuratore generale a chiedere la conferma dell’assoluzione dall’accusa più grave: quanto all’accusa di abuso in atti d’ufficio fu dichiarata la prescrizione.
L’assoluzione è diventata definitiva per l’accusa più grave, per la prescrizione ho presentato ricorso in Cassazione».

Secondo l’accusa originaria che non ha retto al vaglio dibattimentale Pitullo quale ingegnere capo dell’ufficio tecnico comunale di San Marco in Lamis contribuì «a far acquisire alla compagine mafiosa di due famiglie» (peraltro assolte da questa accusa nel processo «free valley») «il controllo diretto e indiretto degli appalti pubblici».

«In sostanza» racconta Pitullo «mi contestavano di non aver denunciato l’esecuzione di subappalti, lavori di sbancamento del terreno, senza le previste autorizzazioni. Non conoscevo le persone che avrei favorito se non per sentito dire, mai avuto rapporti professionali con loro nè frequentazioni. Quale responsabile dei lavori per conto del Comune, era ciò che mi si contestava, non potevo non sapere chi aveva eseguito i lavori di movimento terra: ma non ero il responsabile del procedimento, nè potevo violare una norma che in quel periodo non era ancora entrata in vigore».

«La mia vita cambiò quella mattina del 14 giugno 2006 quando mi arrestarono: dopo pochi giorni mi dimisi non solo da ingegnera capo ma anche da dipendente comunale» prosegue il racconto del professionista «e anche quando il Tribunale della libertà di Bari mi scarcerò dopo un mese, non chiesi di tornare al mio posto perchè la vergogna era enorme, vedevo come mi guardava chi mi conosceva: avevo perso l’autostima in me stesso, pur sapendo di non aver fatto nulla di male, e quel peso psicologico lo avverto ancora adesso.
Cosa penso leggendo di vicende giudiziarie di altre persone? Che non sembra quasi si parli di essere umani, noi trattati come numeri e pratiche».

da La Gazzetta del Mezzogiorno

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