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La Puglia e le sue Province – Una storia iniziata otto secoli fa

Pubblicato: sabato, 6 ottobre 2012 Commenta questo articolo Nessun commentoTorna alla pagina iniziale

Da Federico II a Giuseppe Bonaparte dal Fascismo alla spending revew

La sede della Provincia di Bari

E se alla fine la Puglia del futuro si trovasse ad essere la Puglia del passato? Comuni, Province (quelle che restano, quelle che si accorpano – forse – e quelle che scompaiono), la Regione alle prese col rebus aperto dal decreto del governo Monti accarezzano, tra le opzioni anche quella di un ritorno alla Puglia tripartita nata addirittura per volontà di Federico II nel 1231 con le Costituzioni di Melfi.
I giustizierati di Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto definirono un assetto territoriale che è durato, pressocché immutato per sette secoli, costruendo anche identità territoriali più o meno forti che hanno giustificato, almeno fino alla stesura della Costituzione repubblicana la compresenza del termine «Puglia» e del suo plurale, «le Puglie».
Poi (e non senza discussione alla Costituente, dove pure si affacciò l’ipotesi della costituzione di una regione Salento) prevalse il singolare. Senza però che questo significasse una vera unificazione di un territorio spropositatamente «lungo» (più di 400 chilometri, molti rispetto alla media italiana) e segnato anche da una frontiera linguistica assai marcata. Comunque se la tripartizione geografica della Puglia risale all’imperatore svevo (e siciliano), la storia vera di queste unità amministrative si avvia sotto il segno di un altro imperatore, quello dei Francesi, il corso Napoleone.

Il cui fratello Giuseppe, graziosamente installato sul trono di Napoli dalle baionette dell’Armée, tra le tante leggi promulgate per rimodellare anche questa parte d’Europa sul modello della Francia postrivoluzionaria, l’8 agosto del 1806 firmò quella «Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno» che sopprimeva i vecchi giustizierati (poco più che circoscrizioni giudiziarie) e modellava la nuova architettura del Regno sul modello dei dipartimenti d’Oltralpe, con a capo dei prefetti e con una prima organizzazione decentrata degli organi dello Stato.

Cinque anni dopo, nel 1811, il circondario di Larino che aveva condiviso sei secoli di storia con la Capitanata, fu aggregato al Molise, fissando così sul corso del Saccione e del Fortore il confine settentrionale della Puglia.
La restaurazione borbonica non toccò l’assetto amministrativo del regno, limitandosi a cambiare il nome del funzionario apicale dal troppo francese «prefetto» al più tradizionale «intendente».

All’appuntamento dell’Unità il Sud arriva dopo che, nel 1859, il decreto Rattazzi ha scelto per il nuovo regno d’Italia il modello centralistico francese fondato sulle province, che al centronord ha fatto definitivamente giustizia degli stati preunitari. Le province storiche del Mezzogiorno continentale entrano perfettamente nel nuovo schema politico-amministrativo e restano infatti inalterate (nei loro confini); ai prefetti si affiancano però i Consigli provinciali eletti democraticamente (sulla base di un suffragio che via via si allargherà fino a diventare universale nel 1946) e le Deputazioni provinciali (diventate poi giunte) elette dal consiglio e presiedute dal prefetto.

Dal 1889, infine, a capo delle province viene eletto un presidente, mentre il prefetto resta il (potente) rappresentante del governo sul territorio. È il fascismo a dare uno scossone oltre che agli assetti istituzionali delle province (detto in soldoni, non si elegge più nessuno, si viene nominati) anche a quelli territoriali. In Puglia nasce prima, nel 1923 la provincia di Taranto (fino al 1951 la definizione ufficiale sarà «dello Ionio»), poi, nel 1927 quella di Brindisi (vuole la leggenda che in quella tornata, che vide nascere ben 17 nuove province, sparì all’ultimo momento dall’elenco quella di Barletta: l’uomo forte del fascismo pugliese, Araldo di Crollalanza non voleva che Bari, città della quale era podestà, fosse in alcun modo «diminuita»). È la Puglia a cinque province che abbiamo conosciuto sui banchi di scuola.

Quattro province pugliesi (resta esclusa Foggia) sono le prime ad essere restituite dagli Alleati all’amministrazione civile italiana dopo l’8 settembre ’43 e il trasferimento del re e del governo a Brindisi; cinque anni dopo la Costituzione repubblicana istituisce le regioni (e tra esse la Puglia), ma ci vorranno 22 anni per vederle nascere e per vedere, di conseguenza, cominciare a morire le province.

È un processo inevitabile: man mano che le regioni assumono poteri e funzioni, le province li perdono. Le leggi e i decreti che alla metà degli anni Settanta delegano cospicue funzioni amministrative agli enti locali privilegiano regioni e comuni, mentre le province diventano l’anello debole della catena del decentramento. Più avanti sarebbe venuto anche il discredito, l’interrogativo diffuso sulla loro utilità. Non senza, però, che in controtendenza alcuni territori ne rivendicassero l’istituzione, in qualche caso arrivando anche al traguardo.

Tra questi appena ieri, nel 2004 anche il Nord barese, dove l’antica aspirazione di Barletta per essere soddisfatta deve fare i conti con la forza demografica di Andria e l’allure storica di Trani per dare origine all’inedita provincia con tre capoluoghi (e solo dieci comuni in tutto), la Barletta-Andria-Trani che passerà alla storia solo e sempre come Bat.
Ora si cambia, ora si taglia. E come quasi sempre accade quando si cambia per tagliare (i costi) non è detto che si cambi nel migliore dei modi, come potrebbe accadere se, viceversa, si tagliasse per cambiare.

La confusa e precipitosa discussione in atto in questi giorni, sembra infatti del tutto prescindere da una riflessione sui sistemi territoriali, sul destino dei singoli territori, sulle necessità di pianificazione sovracomunale e infraregionale di servizi (la sanità, i trasporti, la gestione dei rifiuti, ecc.).
Anche perché nel frattempo sono entrati in campo nuovi protagonisti: per esempio l’Unione europea, che destina una parte delle sue risorse proprio ai sistemi territoriali, prescindendo dalla loro identità istituzionale: ecco ad esempio che le Aree vaste, protagoniste della programmazione di specifici assi di spesa cofinanziati dall’Ue in Puglia sono dieci, più di una per provincia, alcune a cavallo di più province come nel caso di quella centrata intorno alla valle d’Itria, un territorio dalla fortissima identità perfino paesistica e con un progetto ben condiviso di sviluppo ma che comprende comuni della provincia di Bari, di Brindisi e di Taranto. Per non parlare del caso di Bari, cuore pulsante al centro della regione, area metropolitana che non ha mai saputo ben definire i suoi confini, ma alla quale avevano (e a giusta ragione, probabilmente) già voltato le spalle i comuni della fossa premurgiana e quelli dell’estremo Sud della provincia. Oggi il decreto Monti trasforma d’amblais la Provincia di Bari (comprese Altamura e Gravina, Monopoli e Locorotondo) nella città metropolitana di Bari.
Con tanti saluti alla possibilità di affidare davvero a questo ente intermedio (come alla superprovincia Foggia-Bat a Nord, e a Taranto-Brindisi o al Grande Salento a Sud) quelle competenze in materia di pianificazione territoriale che pure le spetteranno. Forse era meglio seguire la strada maestra: cambiare la Costituzione e abolire le province.

Luigi Quaranta da Corriere del Mezzogiorno/Foggia

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