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IL FENOMENO DEL RANDAGISMO A TROIA

Pubblicato: domenica, 17 aprile 2011 Commenta questo articolo Nessun commentoTorna alla pagina iniziale

La domesticazione del cane è molto antica, ed anche in Italia la presenza del cane ha accompagnato costantemente l’uomo nel corso della sua storia; tuttavia la popolazione canina, sia padronale che vagante, ha subito negli ultimi decenni una vera e propria esplosione demografica in seguito a diversi fattori. Innanzitutto le mutate condizioni economiche hanno provocato un costante aumento della popolazione di cani di proprietà, e in particolare di affezione, caratterizzati da una vita media sempre più elevata per il costante miglioramento dell’alimentazione e delle cure sanitarie, come dimostrato dall’incremento della spesa sostenuta in questo settore economico.
Parallelamente negli ultimi decenni è anche stata sospesa la capillare azione di controllo della popolazione di cani randagi, che era iniziata alla fine del secolo scorso in relazione alla profilassi della rabbia. Il cane costituiva il serbatoio del virus della rabbia, pericoloso anche per l’uomo, e la lotta contro questa grave malattia fu realizzata non solo attraverso la vaccinazione dei cani, ma anche tramite un diffuso programma di controllo diretto di questi animali, che è continuato fino al 1973, quando la rabbia è stata sradicata dal territorio nazionale.

Ancora tra il 1968 e il 1974 si eliminavano in Italia circa 100.000 cani ogni anno. Il controllo dei cani randagi tramite eutanasia è proseguito anche in seguito a tale data, seppure in misura molto minore: i cani soppressi rappresentavano circa il 55 % del totale dei cani catturati. L’abbattimento in passato non ha riguardato solo i cani vaganti catturati, ma anche i cani inselvatichiti. È importante quindi sottolineare che il randagismo e la presenza di cani vaganti è essenzialmente un fenomeno recente, che solo negli ultimi decenni ha assunto le caratteristiche di un rilevante problema ecologico e sanitario. Le problematiche connesse al randagismo sono diverse e complesse.

In generale nel nostro Paese è stata posta particolare attenzione ai problemi etici legati all’abbandono dei cani padronali, ai rischi sanitari, ai danni economici che i cani randagi possono provocare in alcuni contesti relativi alle attività economiche dell’uomo, poca attenzione alla sparuta, ma pur sempre grave, possibilità di attacchi fisici talvolta mortali, come nel caso di quel bambino di dieci anni morto nell’ottobre scorso nel Beneventano.
Ed è divenuta norma quindi, imbattersi in gruppi di cani che vagano indisturbati per strade e quartieri. Puntare il dito contro di essi è cosa facile, meno è chiedersi come mai la legalità non viene rispettata, causando cosi un tale evento mortale incredibile per un paese che, come il nostro, ha il coraggio di chiamarsi civile e progredito. Il problema fondamentale restano i fondi del Governo sempre più insufficienti per gestire il fenomeno del randagismo, con i Comuni che si trovano con risorse sempre più esigue.

Questo ha portato al fallimento, ad esempio, delle politiche di sterilizzazione e di costruzioni di rifugi, i quali sia che siano già esistenti sia che vengano costruiti ex novo diventano ben presto sovraffollati dato che ogni anno migliaia di animali vengono abbandonati per le strade.

Le leggi, poi, talvolta vengono disattese e così di strutture e sterilizzazioni neanche l’ombra. Spesso in Italia rifugi e canili gestiti da privati si rivelano locali fatiscenti dove i cani entrano ed escono a loro piacimento mentre coloro che li gestiscono usufruiscono comunque dei finanziamenti per curarli e gestirli. Così dietro ad un cane trasformatosi in belva assassina il più delle volte si nasconde un comportamento disdicevole colpevole di un uomo.

Nicola Scrima da Preappennino Oggi

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