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Il Palazzo degli Studi,

un progetto di Marcello Piacentini

in una pubblicazione celebrativa del Ventennio

 

di Teresa M. Rauzino

  

Il Palazzo degli Studi (prospetto facciata principale di M. Piacentini)

Nel 1932 il Comune di Foggia, in occasione del decennale della “gloriosa rivoluzione” della Marcia su Roma, dedicò a Mussolini “Cinque anni di amministrazione fascista 1927-V 1931-IX”, una pubblicazione stampata nella tipografia del Senato in Roma.

Come afferma in premessa Alberto Perrone, essa vuole “illustrare i risultati raggiunti”, fornendo nel contempo “la visione futura” della città, con i suoi bisogni, le sue aspirazioni, le sue possibilità. La città di Foggia, tanto ingiustamente giudicata nel passato, “è tutta un cantiere di opere e di vita”, non solo opere rispondenti ai bisogni elementari del vivere civile, o che recheranno un notevole apporto alla ricchezza nazionale, come la Bonifica del Tavoliere, ma anche opere di “cultura, di decoro, di bellezza”. 

Una di queste è senz’altro il Palazzo degli Studi, che S. E. il Capo del Governo volle “non fastoso, ma bello”. Esso “va sorgendo su una vasta zona di terreno prospiciente alla Piazza XXVIII Ottobre, sulla quale si svilupperà la facciata principale dell’edificio”.

L’incarico della progettazione fu conferito all’architetto Marcello Piacentini, Accademico d’Italia, (delibera n. 957 del 16 gennaio 1928).

In seguito ad alcune varianti suggerite dagli organi competenti, l’Amministrazione podestarile approvò definitivamente il progetto, finanziando la  spesa prevista di lire 8.400.000  (delibera n.2360 del 7 agosto 1929).

Successivamente, svolte le pratiche per l’esproprio o l’acquisto delle aree prescelte (solo in parte di proprietà comunale e per una lunga estensione di proprietà privata o facenti parte del tratturo Foggia- Ofanto), si procedè all’appalto dell’opera, che nel 1932 era ancora in piena esecuzione.

Secondo il progetto di Piacentini, il Palazzo degli Studi sorgerà su un’area di oltre mq 10.000, di cui mq. 5.800 occupati dall’edificio e la rimanente parte dai cortili. Esso consterà di tre piani, con n. 150 vani complessivi, oltre il grande atrio, i vani delle scale, i disimpegni e gli accessori.

                     Palazzo degli Studi da via Cerignola (prospetto M. Piacentini)

I primi due piani diverrano sede dell’Istituto Magistrale, con l’annesso Giardino d’Infanzia, della Scuola  di Avviamento al lavoro, del Ginnasio e del Liceo Classico, del  Liceo Scientifico e dell’Istituto Commerciale.

 

Planimetria 1° piano

All’Istituto Tecnico sarà riservato tutto il terzo piano, che estendendosi su un perimetro più limitato, “lascerà scoperte delle grandi terrazze di ottimo effetto estetico ed evidente utilità pratica”.

Nello scantinato, perfettamente abitabile, sono previsti n. 6 appartamenti per gli alloggi dei custodi dei vari Istituti, nonché numerosi vani per depositi e per i servizi di riscaldamento.

Secondo i curatori di Cinque anni di amministrazione fascista 1927-V 1931-IX (oltre ad Alberto Perrone, si nota l’intervento di Gaetano Postiglione),  la costruzione, pur inspirandosi alle moderne tendenze della tecnica costruttiva pura, risente “nobilmente” di quelle superiori esigenze architettonico-decorative, “derivato fulgido e immutabile” della grande tradizione italiana.

“L’aspetto architettonico dell’edificio è intonato alla massima semplicità di linee.

Esso trarrà i suoi maggiori effetti dal movimento delle masse e dei corpi di fabbrica intimamente con­nessi con la utilizzazione dei locali.

 

Cortile aperto (prospetto M. Piacentini)

Nella facciata principale, soprattutto, alcuni elementi architettonici verticali conferiranno alla parte principale dell’edificio, con una nota di alta e geniale bellezza, uno speciale carattere di austerità”. Merito indubbio dell’architetto Piacentini, che ha saputo adattare “con profonda genialità” il progetto alle caratteristiche del suolo, traendo dalle stesse irregolarità di questo lo spunto per la migliore distribuzione dei corpi di fabbrica fra i vari Istituti.

Una “felice disposizione” di pianta ha opportunamente evitato corpi di fabbrica tripli, per illu­minare perfettamente tutti i corridoi.

L’ampio cortile d’onore, semicircolare, ed un cortile aperto con un “ridente giardino” consentiranno la soddisfacente distribuzione delle aule e la ventilazione di tutti i  locali,  mentre il movimento di entrata e di uscita degli alunni sarà favorito da varie scale di uscita, una per ogni Istituto.

 

 

Ogni plesso sarà provvisto di biblioteche per i professori e per gli alunni, di sale di ginnastica e di ricreazione, oltre che di adeguati impianti di spogliatoi e di bagni.

I diversi Istituti disporranno inoltre di una propria sala per riunioni. Una “gran­diosa Aula Massima”, ampia mq. 416 e alta m. 9, è prevista sul fronte del Palazzo, in Piazza XXVIII Ottobre. Adeguatamente decorata, servirà insieme per le riunioni generali scolastiche e per le più importanti manifestazioni culturali cittadine.

 

Bibliografia

Le notizie, le foto e i prospetti di Piacentini sono tratte da Comune di Foggia “Cinque anni di amministrazione fascista 1927-V 1931-IX”, un libro edito in occasione del Decennale della Marcia su Roma.

 

 

Marcello Piacentini

 Il più grande architetto del Ventennio

di Teresa M. Rauzino

 

Marcello Piacentini in divisa di Accademico d'Italia



Marcello Piacentini (Roma 1881-1960) personifica la contraddittorietà dell'architettura italiana del Novecento, e sue alterne fortune critiche ne sono la testimonianza più evidente.

Unendo in un'impostazione eclettica la rivisitazione degli elementi architettonici classici (archi, pilastri e colonne) a una genuina attenzione per il modernismo europeo, dopo l'avvento del Fascismo, abbandonò i riferimenti internazionali per divenire il massimo esponente del monumentalismo italiano, realizzando negli anni Trenta e Quaranta importanti opere pubbliche, commissionate direttamente dal Regime.

Dal 1938 al 1942 fu Commissario generale per la progettazione dell'E42 a Roma. Nel 1941, nel quadro del piano di risistemazione che prevedeva la creazione di via della Conciliazione a Roma, diede inizio alla demolizione dell'antico quartiere noto come "spina dei borghi", di fronte a piazza San Pietro.

Su di lui hanno detto di tutto: molti giudizi sono datati, come la caricatura di Mino Maccari, o legati all’estrema politicizzazione del dibattito critico, che ha contraddistinto fino a qualche anno fa tutto ciò che era legato al Ventennio nero. 

                                         Piacentini "sventratore" di Mino Maccari

A note “stroncanti” come "vissuto intorno al 1933 e morto nel 1890" del critico d’arte  Renato Birilli, o "lo sventratore" dell'urbanista Antonio Cederna, lo storico Mario Lupano ha  contrapposto, di recente, la serena, obiettiva definizione di "artista costruttore della città".

Indubbiamente Piacentini ha legato il proprio nome alle più grandi trasformazioni di Roma in questo secolo: Piano Regolatore (1931); Città Universitaria (1932 – 1935); Via della Conciliazione (1936 – 1950); L' EUR e l'E42 (1942). Egli ha “modernizzato” i più importanti centri urbani italiani: oltre alle “opere” romane, Piazza Dante a Genova, Via Roma a Torino, Piazza della Vittoria a Brescia.

Stefano Casciani, curatore de L'architettura presa per mano (Idea Books, Milano, 1992), ha affermato che di Piacentini resta insuperata l’abilità di mediatore, tra politica, cultura e azione progettuale. La sua “opera costruita” è enorme, incomparabile. Non esiste un altro architetto italiano che nel Novecento abbia lasciato una così forte impronta di sé.

La testimonianza più significativa resta il Palazzo di Giustizia di Milano.

Il Palazzo di Giustizia di Milano

Piacentini lo concepì come "il più grande palazzo tra quelli costruiti dal regime”. Pilastri, coperture in calcestruzzo armato, ampi lucernari "assolutamente moderni" attenuano il tono monumentale del complesso, creando spazi insolitamente proporzionati.

L'impronta funzionalista si rivela negli interni: lo studio delle luci (affidato a Pietro Chiesa), i serramenti, i marmi compongono una grande ambientazione astratta. Ma l’elemento più originale, che fa dell’edificio “un vero e proprio museo d'arte moderna" (Lupano, 1991) fu il coinvolgimento, nella sua realizzazione, dei migliori artisti d'Italia del tempo.

Proprio quest'intenzione "sovversiva" costò all'edificio una lunghissima “quarantena”: quasi dieci anni (dal 1931 al 1939) passarono dall'inizio della costruzione alla sua conclusione, tempi insolitamente lunghi per quell'epoca. Ci furono aspre polemiche sull'opportunità di collocare opere, raffiguranti corpi nudi, in un luogo così ufficiale: solo l'intervento di Dino Grandi, ministro della giustizia di quel tempo, permise nel 1942 di rimuovere le “pesanti tende grigie” che coprivano affreschi e mosaici di grandi artisti come Funi, Siconi, Cadorin, Carrà e Campigli. 

 

Bibliografia

Stefano Casciani (a cura di), L'architettura presa per mano Idea Books, Milano, 1992)

 

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