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PESCHICI E DINTORNI

L’avventura di un povero cristiano

La cattura di Celestino V sulla costa tra Peschici e Vieste trova  un’eco letteraria nel dramma di Silone

 di Teresa M. Rauzino

 

 

 Nel marzo 1968 Ignazio Silone pubblica “L’avventura di un povero cristiano”con una dedica  emblematica: la solita storia. Dopo secoli di silenzio della letteratura, egli rilegge in chiave evangelica non difforme dal Petrarca la storia di Celestino V, simbolo dell’inconciliabilit� della santit� con il potere, postulando un cristianesimo "demitizzato", sciolto dai le�gami temporali.

Il messaggio siloniano sceglie la spoglia forma tea�trale per attingere definitiva efficacia, esprimendo un protagonista con un'idea forte, coscienza che sovrasta la persona: il potere non � mai salvifico, lo � piuttosto la rinuncia ad esso, affermazione di libert� e purezza della coscienza.

Lungo i sentieri del mondo, Celestino si era mosso con impaccio, ma comp� l'estremo atto di rinuncia al pontificato. Unico nella storia bimillenaria della Chiesa. Tornato fraticello, amato e seguito dai fedeli, venne bracca�to ed incarcerato: una buia torre soffoc� la sua utopia. Ma la luce della sua coscienza, intollerante del com�promesso, che indic� nel potere sotteso all'istituzione religiosa il nemico pi� perico�loso, ancora oggi conti�nua a brillare.

Il Gargano fu testimone delle ultime drammatiche fasi della biografia del papa del "gran rifiuto". Dopo la rinuncia al pontificato, il fuggitivo si era diretto verso il monastero di San Giovanni in Piano presso Apricena, che seguiva il suo ordine religioso; si era quindi imbarcato a Rodi per la Grecia, dove probabilmente intendeva raggiungere la comunit� degli spirituali di Clareno, ma la nave naufrag�.

La localit� a “quindici miglia da Rodi e cinque miglia da Vieste”, dove trascorse nove giorni prima di essere individuato e consegnato agli emissari di Bonifacio VIII, non � stata individuata precisamente dai biografi coevi (Analecta Bollandiana, Vita C). Lo storico viestano Giuliani indica la spiaggia di Santa Maria di Merino; Giuseppe Martella afferma che Celestino V trov� rifugio in una grotta di Peschici, “’a grott 'u papa”, localizzandola in una pineta a ridosso della punta di Calalunga, tra Peschici e Vieste. Fonti orali riferiscono che Celestino V si rifugi� proprio in questa zona rupestre, la “Grotta dell’Abate”: � qui che sarebbe stato “prelevato” dal governatore di Vieste.

 

 

Cartina del luogo

La presenza di Celestino V nel luogo suddetto sembra  confermata da un particolarissimo toponimo: l'insenatura da cui si diparte il sentiero che conduce al complesso rupestre � denominato "U' Iale d' la Croce" (spiaggetta della Croce). E il logo dello stemma celestiniano � appunto una  Croce con una S intrecciata, simbolo dello Spirito Santo.

 

logo celestiniano

La cattura di Celestino V  su questo tratto di costa garganica trova  una singolare eco letteraria nella scena V del dramma di Ignazio Silone.

L'azione si svolge in una localit� impervia, raggiungibile solo in barca, sulla costa meridionale tra Peschici a Vieste: � un'ampia semigrotta, incavata a mezza costa d'un promontorio roccioso, quasi a strapiombo sul mare. At�torno vi crescono cespugli di fichidindia e qualche olivastro, davanti � un sentiero che si allarga a forma di terrazzino, alcuni grossi sassi fungono da sedili, un fontanile � vicino.

 

 
Grotta dell'Abate

Il tempo del racconto � un sereno pomeriggio del mese di maggio 1295. Sono pas�sati sei mesi dall'abdicazione e dall'inizio della fuga per sottrarsi alle ricerche degli agenti di Bo�nifacio VIII e dei loro concorrenti francesi. Celestino riposa all'interno della grotta illuminata dal sole po�nente; � seduto su un pagliericcio, con la schiena e la testa appoggiate alla roccia, gli occhi chiusi. Due giovani frati, per motivi di prudenza, in abiti civili, aspettano che si svegli per comunicargli le ultime novit�: il priore di San Giovanni in Piano ha messo a disposizione una barca con un paio di pescatori per andare in Grecia, nell'isola di Acaia, (golfo di Corinto), dove raggiungeranno gli amici che li hanno preceduti. Aspettano, per salpare, che il vento sia favorevole.

Presa la decisione dell'esilio, Celestino ne spiega i motivi ai due fraticelli che gli sono rimasti accanto, dopo che gli altri sono stati imprigionati e pochi sono riusciti a riparare in Grecia: "Figli miei, guardate questa terra, queste pietre, il mare, il cielo; riempitevi l'anima di queste immagini, per ripensarle da lontano. Bisogna amare la propria terra, ma, se essa diventa inabitabile per chi vuole conservare la propria dignit�, � meglio andarsene".

L'azione riprende nel medesimo quadro, un mese pi� tardi: alla primavera � succeduta l'estate. Sul sentiero che sale dalla costa appaiono Matteo il tessitore e la figlia Concetta che, banditi dal Morrone per le loro idee religiose, finalmente, dopo innumerevoli disagi di viaggio via mare hanno raggiunto i fraticelli nell'impervia localit� garganica. Questi li mettono al corrente del modo in cui Celestino si era “consegnato” ai suoi nemici.

Al di l� di questi riferimenti toponomastici e letterari, i luoghi del comprensorio sono comunque interessati dall’onda della memoria di Celestino V. La sua figura rest� impressa nell’immaginario collettivo per un’affinit� importante: il territorio garganico si era qualificato, fin dal periodo medievale, per un’estesa e capillare colonizzazione monastica, una serie di insediamenti religiosi e di grotte rupestri, dove monaci, anacoreti ed eremiti vivevano in stretta simbiosi con la natura incontaminata.

Nell’XI e XII secolo numerose abbazie benedettine erano proliferate intorno al venerato Santuario dell’Arcangelo Michele: ebbero una straordinaria influenza spirituale ed economica, estesi possessi territoriali e imponenti strutture insediative.

In tale contesto, la comunit� monastica di S.   Maria delle Grazie di C�lena di Peschici svolse, a partire dall’XI secolo e per un lungo arco di secoli, un ruolo importante nello sviluppo delle risorse agricole del Gargano, nonch� un attivo ruolo culturale. Le esigue pertinenze della dotazione iniziale si trasformarono, con il privilegio di Stefano IX, in un cospicuo complesso di beni concentrati lungo la fascia costiera settentrionale, dalle sponde del lago di Varano al territorio di Mattinata, con pertinenze a Campomarino e a Canne.

Alle terre incolte e ai boschi che costituivano gli iniziali possessi fondiari si sostitu� una rete di nuclei produttivi di seminativi e vigne, dotate di impianti di trasformazione. L’esperienza degli insediamenti monastici celestiniani,  il sistema delle “fraternite” e delle “grance” si inserir� in questo contesto propizio, completando l’utilizzo razionale del territorio.  

 

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