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LA VALUTAZIONE INTERMEDIA NELLA SCUOLA SUPERIORE

Di DAVIDE LECCESE

Siamo prossimi alla chiusura del Primo Quadrimestre – per le scuole che hanno adottato questa scansione dell’anno scolastico – e i consigli di classe si apprestano a formalizzare giudizi e voti.

Non sono molte le scuole che hanno adottato il sistema della scansione trimestrale; altre si accingono – una volta “accettato” lo spirito dell’Autonomia – a darsi un sistema più flessibile e meno burocratico di determinazione istituzionale della valutazione.

Ma partiamo dalla valutazione “quadrimestrale” per fornire qualche utile indicazione o qualche buon ripensamento sul sistema valutativo della scuola secondaria superiore.

La premessa cardine è che la valutazione è parte integrante del processo insegnamento/apprendimento e se la si sgancia dal dato inquisitorio, numerico stretto, punitivo, gli studenti ne avvertono tutta l’importanza, la chiedono e sono attenti valutatori – a loro volta – dei docenti valutatori.

Molti dei dissidi “relazionali”, infatti, tra docenti e studenti e, di conseguenza, tra docenti e famiglie, nascono proprio sulla non intesa o comprensione della valutazione.

Se da una parte le interrogazioni, i compiti scritti, le prove pratiche passano – per legge – sotto le forche caudine del “voto”, dall’altra non s’insiste mai abbastanza con i docenti perché diano al numero un esplicito senso formativo, si attengano alla trasparenza, facciano dei sistemi di verifica più un elemento di formazione che un criterio di selezione.

Continuano a non rispondere a questi criteri di qualità – e di deontologia professionale – quei docenti che sbandano o nel lassismo paternalistico o nel rigore freddo ed asettico, guardando e valutando più quel che l’alunno non sa e meno quel che l’alunno ha appreso.

La normativa – da sempre – ribadisce che il voto dovrà essere accompagnato da un “breve giudizio motivato”; giudizio inteso come esplicitazione sintetica del “dato” verificato e parametrato sui criteri di valutazione approvati in sede di consiglio di classe, ufficializzati dal collegio dei docenti e resi noti agli studenti e alla famiglie.

Il docente non è tenuto a “discutere” il voto, ma è tenuto a far comprenderne la ragione valutativa, di cui si assume tutta la responsabilità.

Si aggiunge, inoltre che nella valutazione non entrano solo criteri di “peso” degli errori commessi o delle “cose” dette o apprese; entrano parametri molto più articolati e sicuramente più esigenti, non solo per il docente che valuta ma anche per lo studente che è valutato. Entrano gli apprendimenti, la partecipazione al dialogo educativo, l’interesse allo svolgimento del programma, la socializzazione dell’esperienza scolastica, il contributo dinamico alla vita/classe, l’adesione alle regole di lealtà scolastica, l’assiduità alle lezioni, la correttezza formale dell’esecuzione dei compiti, la ricerca personale di elementi aggiuntivi di conoscenza.

Per questa ragione, gli studenti che si affannano a sommare i singoli risultati, compiono un errore strategico (favorito forse dalla mentalità sommatoria di alcuni docenti): non è detto che gli stessi numeri parziali diano diritto allo stesso risultato finale, di scrutinio. A meno che il docente non dichiari di aver già inserito – di volta in volta – gli elementi di valutazione sopra descritti.

Dicevamo: valutare significa essere valutati. Quando la scuola ufficializza i voti (quadrimestrali e/o finali) deve assicurare che ha già compiuto un processo rigoroso ed onesto di valutazione di sistema. Insomma, come si fa a valutare uno studente, una classe, se il valutatore non risponde – in chiave di servizio professionale – a requisiti indispensabili di qualità? La scuola con docenti che non si preparano, non si aggiornano, fanno molte assenze, non vivono una collegialità effettiva, non aprono a nuovi sistemi il loro insegnamento, non hanno un dialogo fattivo con gli studenti, è sicuramente una scuola con labile credibilità valutativa; è una scuola con scrutini da “pallottoliere”.

La valutazione descrive solo dati rigidi o situazioni didattiche flessibili? Non è agevole una risposta al quesito che, comunque posto, rischia fraintendimenti. Di certo il voto del docente deve avere una connotazione prospettica; deve cioè inserire al suo interno – in senso propositivo – il cammino di apprendimento che lo studente può compiere. Il voto ha anche un valore incentivante o di sottolineatura d’impegno, purché – come già si è affermato – lo stesso voto, con tutte le sue connotazioni, sia esplicitato in giudizio. Solo allora avrà valore formativo e non sommativo.

Il voto negativo non è mai definitivo, non è mai punitivo, non è mai un “ben ti sta”; sicuramente deve essere accertativo di una condizione da recuperare; di certo ha bisogno di esplicazione e di sollecitazione al cambiamento. Opportunamente dovrà essere accompagnato dalla piena disponibilità della scuola a fornire ogni sistema di aiuto e di recupero degli apprendimenti incerti o manchevoli.

Per ultimo si lascia l’arco numerico valutativo: alcuni docenti stabiliscono – con decisione autonoma e contra legem – di restringere l’arco numerico (che va ufficialmente da 1 a 10) a frazioni di arco, escludendo o la parte inferiore o – più comunemente – quella superiore. Altri docenti, con danno irreparabile di credibilità di sistema – assicurano sempre e comunque la sufficienza o oltre. Non si tratterà, in questa sede, di tutte le “pecche” del voto di impressione, del voto di pregiudizio, del voto di simpatia/antipatia; potrà non essere completamente vero ma, proprio per questo, non sarà completamente falso. Si ricorda ai docenti che la legge non costituisce una opzione personale di disattenzione verso i diritti che la legge assicura; lo studente ha diritto ad essere valutato come da norma e alla norma ci si deve attenere.